Ampelografia per immagini

di Giuliana Gay Eynard
  • 19 October 2011
Nel 1898,  Mazade, professore d’ampelografia a Montpellier, scriveva: “In un dato ambiente, passare frequentemente in vigneto consente d’ottenere un ricordo visivo dei vitigni principali. Questo ricordo visivo è preferibile alla migliore delle descrizioni perché è proprio la fisionomia del vitigno che rimane impressa nella memoria e serve da riferimento e termine di paragone. Questa fisionomia è certo il risultato dell’impressione causata dall’insieme di elementi parziali. Ma, in genere, questi caratteri parziali, non essendo stati oggetto d’un esame separato condotto con sufficiente attenzione, sfuggono al ricordo. Semplicemente dall’insieme emerge un’immagine complessiva, specifica per ciascun vitigno, impressione che serve da guida nella maggior parte dei casi”.
Nelle descrizioni ampelografiche sono riportate caratteristiche:
•    morfologiche,
•    fenologiche,
e osservazioni  su attitudini:
•    colturali,
•    produttive,
•    esigenze pedoclimatiche,
•    resistenza eventuale a patogeni, ecc.

L’interesse per i vitigni era già presente nell’antichità, che però ci ha lasciato poco più che elenchi e sintetici giudizi di merito, ripresi nel Medioevo, benché Pier de’ Crescenzi nel  '300 si sia distinto per un “primo e veramente notevole tentativo d’ampelografia italiana”, individuando i caratteri da prendere in esame per una descrizione ragionata. Intanto la vite compariva da millenni nella pittura, nella scultura, nei fregi architettonici e non solo perché decorativa, ma anche per il suo valore simbolico. Con le due monumentali tavole in cui illustrò nell’una 37 e nell’altra 38 varietà diverse, disposte in una sorta di spalliera artificiale, dalla quale i grappoli pendono in primo piano su un denso sfondo di pampini contro il cielo serotino, Bartolomeo Bimbi (1648-1725) costituì lussureggianti “vigne-catalogo” immaginarie, quasi un’impresa artistico-scientifica e non più soltanto il contrapposto di intonazioni sapientemente contrastanti fra le uve nere e quelle bionde e trasparenti. Dal 1700 fino alla Pomona del Gallesio, cioè fino a metà dell’ '800, i lavori ampelografici si moltiplicarono, ma le illustrazioni, pur da tempo usate dai botanici, erano rare e le stesse descrizioni molto sintetiche
Se il decreto del 27 aprile 1869 aveva istituito la commissione incaricata di compilare l’Ampelografia della provincia di Alessandria, il successivo decreto del 6 aprile 1872 istituì il Comitato Centrale Ampelografico con l’intento di preparare i materiali per la compilazione di un’Ampelografia Italiana. Nel 1° volume, comparso nel 1879, per i 28 vitigni descritti si fa riferimento alle 28 tavole corrispondenti, stampate poi col contagocce.
Queste tavole derivano da dipinti ad olio su tavola, del canavesano Giuseppe FALCHETTI (1843-1918), che il Comitato Centrale inviava presso i vari ampelografi per prepararvi una ventina di tele, sotto il severo controllo del mentore locale: Mendola in Sicilia,  di Rovasenda in Piemonte, ecc. Le immagini scelte erano poi sottoposte all’esame della Commissione centrale per l’approvazione definitiva prima di essere trasferite su pietra litografica e stampate quasi tutte a Torino
Nel frattempo in Francia, fra il 1874 e il 1879, Mas e Pulliat nei 3 volumi de “Le vignoble ou histoire, culture et description avec planches coloriées des vignes à raisins de table et à raisins de cuve les plus généralement connues” descrissero ben 288 vitigni, fra cui parecchi italiani, con l’aiuto di ampelografi nostrani.

(FOTO: tavola ampelografia del Frappato di Vittoria)